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La Storia di Astro del Ciel

Una piccola curiosità

LA STORIA DI ASTRO DEL CIEL

Ci sono brani musicali che da così tanto tempo fanno parte del nostro vissuto collettivo da aver oramai perso qualsiasi traccia delle proprie origini. Li abbiamo sempre ascoltati. Li cantiamo in determinate circostanze. Ci sono stati tramandati dal contesto sociale in cui viviamo. Eppure, molto spesso, di questi brani non sappiamo nulla e, frettolosamente, li facciamo risalire alla “notte dei tempi” della tradizione popolare.

È il caso di “Stille Nacht”, ovvero “Notte Silenziosa”, titolo originale in lingua tedesca della canzone che in Italia conosciamo come “Astro del Ciel”. Tradotta in oltre 300 lingue, questa semplice melodia, che scalda il cuore non solo ai credenti evocando immediatamente pace e serenità, è indiscutibilmente uno dei simboli musicali del Natale. Ogni anno viene cantata da oltre 2 miliardi di persone. In pochi, tuttavia, sanno che la storia è legata ad una singolare vicenda che vede come protagonista un giovane sacerdote austriaco di nome Joseph Mohr. Tramandati per lunghissimi anni, quasi come fossero una leggenda, i fatti legati alla genesi di questo canto sono stati fedelmente accertati solo nel 1995 (anno in cui è stato anche ritrovato il manoscritto originale autografo) grazie alle minuziose ricerche condotte da Hanno Schilf, responsabile dello “Stille Nacht Museum” di Salisburgo.

Joseph Mohr, nacque a Salisburgo l’11 dicembre 1792 come terzo figlio illegittimo di Anna Schoiber, una modesta ricamatrice di 34 anni sposata con il soldato semplice Franz Mohr di 6 anni più giovane.  Constatato il tradimento coniugale, pur lasciando il proprio cognome al piccolo appena nato, Franz abbandonò la moglie, la denunciò alle autorità cittadine ed infine disertò dall’esercito facendo perdere velocemente le proprie tracce.

A quel tempo, per una donna, avere un figlio fuori dal matrimonio era considerato un grave reato. Anna venne condannata con una ingente ammenda pari a 9 fiorini (all’epoca un intero bue ne costava 12). Una cifra enorme che, con le sue misere entrate derivanti dal suo umile lavoro e con oramai tre piccoli figli da crescere da sola, non era in alcun modo in grado di onorare.

Fu così che, in mancanza di altre possibilità, la donna si trovò costretta ad accettare l’offerta di Joseph Wohlmuth, “il boia di Salisburgo”, il quale, in cambio del pagamento della multa, ottenne di diventare padrino del piccolo Joseph. Wohlmut era solito offrirsi per situazioni del genere. Agiva così per opportunismo, ovvero al fine di acquisire indulgenze e per cercare di migliorare la propria cattiva reputazione dovuta alla professione di esecutore delle pene capitali. Dal momento che, secondo la legge del tempo, al boia non era consentito, tra le altre cose, di entrare in chiesa, Wohlmuth, in occasione della cerimonia del battesimo del piccolo Joseph si fece rappresentare, da Frankiska Zachin, la sua cuoca.

Con tali premesse, è facile comprendere come la vita per Joseph Mohr si prospettasse da subito tutt’altro che semplice. Nato da una relazione extraconiugale, appartenete ad una famiglia indigente e “figlioccio” del boia della città, in condizioni normali e nella bigotta Austria di quegli anni, il suo futuro era inevitabilmente segnato senza alcun tipo di possibilità di emancipazione sociale.

Ma il bambino aveva dalla sua parte: una spiccata intelligenza, significative doti musicali ed un po’ di fortuna.

Fu così che Johann Nepomuk Hiernle, vicario della Cattedrale di Salisburgo, un giorno scoprì quasi per caso le sue capacità mentre all’età di 7 anni stava cantando seduto sui gradini dietro la propria misera casa. Hiernle, senza esitazioni, da quel momento decise di aiutarlo prendendosene cura come un padre affidatario. Negli anni a seguire gli offrì una solida educazione che gli avrebbe consentito di diventare un apprezzato cantore e musicista e di essere ordinato sacerdote, a soli 23 anni d’età, il 25 luglio del 1815. Per raggiungere questo traguardo furono comunque necessarie ben due autorizzazioni ecclesiastiche speciali: la prima per entrare in seminario in quanto figlio nato al di fuori del matrimonio; la seconda per essere consacrato pur non avendo ancora compiuto l’età minima di 25 anni prescritta dalle regole canoniche.

Come primo incarico da coadiutore, Joseph Mohr fu destinato a Mariapfarr, un piccolo paesino di montagna che aveva le particolarità: di rimanere isolato per i lunghi mesi invernali e di ospitare la chiesa del XII secolo “Zu unserer Lieben Frau”, uno dei santuari mariani del Salisburghese più frequentati. Mariapfarr era però anche il luogo di origine della sua famiglia paterna. Pur non essendoci mai stato prima, Joseph si sentì da subito a proprio agio. Conobbe il nonno, ancora vivo, che lo introdusse tra gli usi e costumi della gente del luogo. Nel suo diario annotò: “Gli uomini, qui, sono pervasi da una profonda fede cristiana, dalla quale non sono ancora interamente scomparse le usanze precristiane”.

Le maggiori emozioni giunsero tuttavia in occasione del Santo Natale. Durante la messa di mezzanotte rimase meravigliato dal modo incredibilmente semplice e bello con il quale i paesani festeggiavano, accompagnati da chitarre e strumenti ad arco e da canti in dialetto, la nascita del Signore. Il tutto mentre le luci delle piccole lanterne portate dai chierichetti, simili a piccoli angeli, illuminavano la struggente immagine della Madonna con il Bambino venerata nella chiesa.

Queste impressioni dense di suggestioni e fede popolare lo portarono ad abbozzare un personale testo poetico accompagnato da alcune note. Siamo nei primi giorni del 1816 ed il componimento che diventerà “Stille Nacht” ha preso forma, pur rimanendo in un cassetto.

L’inverno rigido delle montagne salisburghesi portò con sé anche una serie di problemi di salute per il giovane prete, tanto che dopo qualche tempo lo ritroviamo, il 25 agosto 1817, trasferito come sacerdote ausiliario a Oberndorf sul fiume Salzach, località dal clima decisamente più mite.

Oberndorf è una cittadina di barcaioli posta 20Km a nord di Salisburgo. Dopo la pace del maggio 1816, al termine delle guerre napoleoniche, si era trovata improvvisamente divisa in due parti: una bavarese e l’altra austriaca. Questa nuova frontiera aveva creato inevitabili gravi disagi economici e sociali tra cui una dilagante povertà ed un diffuso sfruttamento minorile. Molti bambini di famiglie povere venivano letteralmente comprati da loschi uomini d’affari provenienti da Salisburgo, i quali nascondevano questo traffico facendosi passare per persone caritatevoli verso i bisognosi.

Nella nuova parrocchia, separata solo un anno prima da quella di Laufen sull’altra riva bavarese del fiume, non esisteva ancora una canonica. Il nuovo coadiutore si trovò dunque a soggiornare in una semplice camera in casa del sagrestano ed a pasteggiare di volta in volta nelle meste trattorie del paese. Questo fatto lo portò particolarmente in contatto con la miseria quotidiana in cui la popolazione era caduta. La gente si affezionò a lui da subito, fosse solo perché anche egli era “un uomo del fiume” su cui aveva giocato da bambino e perché riusciva a “stare in piedi su una barca” senza perdere l’equilibrio.

Brillante, istruito, socievole, affabile, sensibile Joseph Mohr si distinse come sacerdote attento alla carità prodigandosi in numerosi atti umanitari nel tentativo di offrire aiuto ai tanti indigenti della comunità.

Presto, però, questa crescente popolarità, finì per infastidire il parroco e suo superiore Georg Heinrich Nöstler il quale, geloso, cominciò ad ostacolarlo e redarguirlo pretestuosamente. Lo biasimava, tra le altre cose, per il fatto che cantava “canti spesso non edificanti nelle osterie” e che “scherzava con persone dell’altro sesso”. Quando nell’ottobre del 1818 Joseph Mohr decise di denunciare pubblicamente la squallida tratta dei minori che imperversava nella cittadina, il parroco irritato, dopo aver preso le parti dei “benefattori”, si rivolse all’autorità ecclesiastica, accusandolo di presunta insubordinazione e, basandosi sulla sua burrascosa infanzia, mise in dubbio la sua idoneità nel compiere il servizio sacerdotale.

Ne scaturì una attenta indagine vescovile, che, in seguito, il decano competente chiuderà senza conseguenze scrivendo: “Egli è amato da tutti e anche le sue prediche richiamano sempre molta gente. Gli attacchi di Nöstler provengono da una penna biliosa.”

Intanto però il clima in parrocchia si era molto deteriorato ed in più si avvicinavano i preparativi per il Santo Natale 1818.

Nei mesi precedenti Franz Xaver Gruber, maestro di scuola del vicino paese di Arnsdorf, organista e direttore del coro nella chiesa di St. Nikola proprio a Oberndorf, aveva stretto una profonda amicizia con Mohr. Di 5 anni più vecchio, Gruber apprezzava le doti del giovane sacerdote e ne condivideva le idee, i metodi e l’impegno sociale. Volle, dunque, trovare un modo per appianare i dissidi tra lui ed il parroco e decise letteralmente di far “tacere” l’organo della chiesa per le feste natalizie.

Al vecchio Nöstler raccontò che lo strumento era diventato inutilizzabile per colpa dei topi che avevano roso il mantice, e per evitar che la messa della Vigilia di Natale 1818 fosse celebrata senza musica, chiese a Joseph quel componimento che aveva scritto qualche anno prima in montagna. Arrangiò il materiale con una chitarra, due voci e accompagnamento del coro e lo eseguì al termine della messa di mezzanotte, davanti al presepio.

Fu subito un successo strepitoso!

La gente uscì di chiesa commossa e colpita da quella semplice melodia e dal canto così pieno di puro sentimento. Pare che dopo questa esecuzione anche i rapporti tra il vecchio parroco e il giovane coadiutore divennero meno freddi di prima. Ciò nonostante, Joseph Mohr lasciò Oberndorf nel 1819 rimanendo comunque legatissimo all’amico Gruber per il resto della vita.

Lo straordinario successo ottenuto davanti al semplice pubblico di Oberndorf, non può spiegare, da solo, una fortuna musicale immutata da ben due secoli, repertorio di grandissimi autori e musicisti, del passato e del presente. 

Da quanto tramandato, sembra che fu un fabbricante di organi, tale Carl Mauraher, dopo aver ascoltato la canzone proprio ad Oberndorf dove era giunto per effettivamente riparare l’organo, a portarla in Tirolo già nel 1819, avviandone di fatto la diffusione sul continente. Nel 1822 fu suonata a Salisburgo, davanti al sovrano austriaco, Francesco II, e allo zar Alessandro di Russia. Negli anni a seguire si diffuse in tutto il territorio di lingua tedesca grazie ai gruppi folkloristici tirolesi della valle dello Ziller. Successivamente, nel 1839, una versione fu intonata dai fratelli Rainer a New York, mentre la notizia della prima traduzione in inglese, dal titolo “Silent night” e operata dal prete John Freeman Young, si attesta al 1859.

Il messaggio di pace contenuto nel testo della canzone, a tratti attraversato da una vena malinconica, trovò espressione durante uno dei più cupi momenti della storia dell’umanità. Non è possibile affermarlo con certezza ma si racconta che, durante la cosiddetta “tregua di Natale” del 1914, in piena Prima guerra mondiale, dalle fronteggianti trincee inglesi e tedesche, si levò l’inno nelle rispettive versioni, a testimoniare come nemmeno l’orrore del conflitto potesse sminuire il significato unificante della Nascita di Gesù. Un aneddoto, questo, che rafforza ancor di più il valore assunto dal canto nel corso degli ultimi duecento anni. Sarebbe forse riduttivo citare le tantissime interpretazioni che l’hanno visto protagonista, dalla versione italiana scritta (ma non tradotta) dal sacerdote bergamasco Angelo Meli che tutti conosciamo appunto come “Astro del ciel”, a quella di Bing Crosby, che la rese uno dei singoli più venduti di tutti i tempi. Ma, d’altronde, qualunque sia il cantante o il musicista, l’essenza della carola natalizia non cessa di conservare quell’alone di magia che contraddistingue il racconto originale. C’è qualcosa di più che un semplice testo di Natale fra quelle righe, un inno alla pace che, per quanti secoli possano trascorrere, non cesserà probabilmente mai di essere attuale.

La chiesa di San Nicholas, in Oberndorf dove "Stille Nacht" fu eseguita per la prima volta nel 1818, è stata profondamente danneggiata all’inizio del XX secolo quando il fiume Salzach ruppe gli argini e allagò mezza città. Con la ristrutturazione della chiesa, è stata costruita una cappella dedicata a questo brano, poco distante dall’altare principale dove Gruber e Mohr con il coro si esibirono due secoli fa

Oggi esiste anche un museo dedicato alla vicenda sin qui narrato, mentre il canto nel 2011 è divenuto, per l’UNESCO, Patrimonio culturale intangibile dell’umanità

Joseph Mohr morì a Wagrain il 4 dicembre 1848, altrettanto povero di quando era nato. Il suo denaro non bastò nemmeno per seppellirlo in modo degno perché durante la sua vita continuò a donare, senza lesinare, ai suoi contemporanei il poco di cui disponeva impegnandosi in innumerevoli opere sociali. Il “prete dei poveri”, così veniva chiamato, non visse abbastanza per conoscere l’enorme diffusione della sua poesia. L’unica sua eredità materiale fu la sua chitarra, che più tardi e per vie traverse giunse in possesso proprio della famiglia di Franz Xaver Gruber.

Anche a noi ha lasciato qualcosa: Il suo canto che ci regala ogni anno una semplice e festosa serenità.

Dario Monticelli